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TORNARE AL VANGELO PER COSTRUIRE UNA VERA CHIESA MISSIONARIA*
Intervista a don Camillo Mellini parroco di S. Pietro Apostolo – Fidenza
❑ Don Camillo, lei ha sempre avuto una particolare attenzione per la realtà missionaria, per i problemi del Sud del mondo e per le persone che dai paesi poveri giungono qui. Come è maturato in lei tutto ciò?
L’idea dell’attenzione agli altri viene da lontano, dal confrontare le nostre condizioni con le loro per un senso di giustizia distributiva. In seminario, con gli entusiasmi giovanili, ero quasi deciso a partire missionario. Il Vescovo disse no e allora sono rimasto qui guardando però sempre verso là. Ho cercato di fare sempre ciò che era possibile, di allargare gli orizzonti, di educare in tal senso il gregge che mi era affidato. Poi un giorno si sono presentate situazioni concrete. Infatti, l’impegno di fare della casa parrocchiale dove io stesso vivo una casa di accoglienza è nata un po’ per caso e un po’ per costrizione.
All’inizio mi sono interrogato un po’ di fronte a questa situazione: ad accogliere delle persone in casa, stranieri, chissà quali reazioni avrei suscitato.
Poi, mi son detto, in fin dei conti non lo faccio per me, ma per chi mi ha mandato qui, questa casa è la casa di tutti. Così ho iniziato con due persone e sono arrivato fino a 35-40. Quello che mi stupisce è che arriva tutto quello che serve per queste persone. Non ho bisogno di comprare che il pane. Tra la gente alcuni aiutano con generosità e in silenzio, anche significativamente, altri manifestano grettezza, chiusura, quel bigottismo che vede solo “il mio Gesù” senza capire. In ogni caso, da solo non avrei mai pensato di riuscire, adesso mi arriva anche più del necessario.

❑ Da diversi anni lei ci accoglie nella sua parrocchia. Per la sua lunga esperienza di parroco, impegnato anche nell’ospitalità agli immigrati, pensa che il confronto, lo scambio con realtà di paesi di missione possa essere utile nel cammino pastorale missionario delle parrocchie italiane?
La nostra Chiesa in Italia ha bisogno di allargare gli orizzonti. La nostra gente è generosa nelle offerte e nell’aiutare i missionari, ma non ha ancora una vera mentalità missionaria. E’ una Chiesa antica legata al territorio, alle proprie pietre, ai monumenti d’arte che abbiamo e che riflettono il nostro ambiente. Il fenomeno dell’immigrazione costringe ad una riflessione. Spesso però si preferisce chiudersi in casa e rifiutare di riflettere e di vedere la realtà. Molti sfoderano anche una mentalità razzista. Il razionalizzare, invece, il confronto con questa realtà e quella delle missioni è urgente.Quando vi ho conosciuto, ho scoperto questa ricchezza che è la Redemptor hominis. Ho ammirato la mentalità di questa Comunità, diversa dal solito e con la capacità di fare scelte coraggiose. Anche la vostra rivista è diversa dalle altre riviste missionarie, ha idee diverse, soprattutto l’articolo di fondo, in prima pagina, che è sempre qualcosa che provoca e
arricchisce, anima e invita il primo mondo ad aprirsi ad altri orizzonti.

❑La Chiesa in Italia, anche nel recente Convegno Ecclesiale di Verona,ha richiamato con forza la responsabilità dei fedeli per una pastorale di apertura missionaria. Quali prospettive e strumenti, secondo lei, si potrebbero intravedere per sviluppare una Chiesa veramente missionaria e attenta ai più poveri nel mondo?
Il Convegno di Verona ha riflettuto molto e anche in senso missionario. Ma, come ha già notato la rivista Nigrizia, ha avuto orizzonti stretti. Si è parlato della missione non come nostra realtà, ma come cosa d’altri e non c’è stato slancio, né il sentirsi cittadini e cristiani del mondo, è rimasta piuttosto Chiesa Italiana o cristiani italiani che aiutano gli altri. Finché si chiede l’offerta, la si dà anche volentieri, ma quanto al coinvolgimento abbiamo ancora da camminare.
Verona ha rivelato cose grandi alla Chiesa Italiana, ma anche i difetti dei suoi cristiani.
Per una Chiesa veramente missionaria occorre prima di tutto tornare al Vangelo. Il Vangelo nonè legato all’Italia o ad un’altra nazione. Il ritorno al Vangelo significa ritrovare la forza di dire“io ho un privilegio”, ho la fede, la conoscenza di Gesù Cristo, non posso tenerlo per me, devo donarlo agli altri, impegnandomi personalmente in questo e non dando solo quello che avanza. Noi oggi non possiamo dare i resti ai poveri e tenerci tutto per noi. Dovremmo imparare a capire e a farci carico dei poveri del Sud del mondo per arrivare a dire che hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri che ho io: “ama gli altri come te stesso”. Se vogliamo poi capire qualcosa in più e assimilarci a Cristo, dovremmo comprendere meglio
quell’“amate gli altri come io ho amato voi”.
(A cura di Emanuela Furlanetto)*Pubblicato su “Missione Redemptor hominis” n. 79 (2006) 7.